Dal 4 al 6 ottobre 2023 a Napoli e Salerno

Torna “Femminile palestinese”, la rassegna nata nel 2014 a cura di Maria Rosaria Greco con il sostegno del Centro di produzione teatrale Casa del Contemporaneo. L’edizione 2023 va dal 4 al 6 ottobre p.v., con incontri organizzati a Napoli e Salerno. Focus di quest’anno “il racconto”.Nel 1982 Edward Said scrive un famoso articolo intitolato “Permesso di raccontare” per sottolineare che nonostante lo squilibrio di potere militare, economico e politico tra palestinesi e Israele, nessuno poteva impedire ai palestinesi di raccontare la loro storia, perché la Palestina può essere occupata, colonizzata e oppressa, ma la narrazione palestinese non potrà mai essere messa a tacere.Con “Femminile palestinese” quindi ritorna il racconto della Palestina che questa volta viene fatto attraverso il fumetto e il cortometraggio. E se il focus è il racconto, la rassegna ospita ben tre incontri con il cartoonist palestinese Mohammad Sabaaneh in Italia per presentare il suo graphic novel “Racconto Palestina” appena pubblicato da Mesogea (settembre 2023) nella collana Cartographic, traduzione di Enrica Battista. E vengono proiettati due cortometraggi: “A Vittorio Arrigoni” di Giulia Rosco e Margherita Parascandolo e “il cielo di Sabra e Chatila” di Eliana Riva.

PROGRAMMANapoli – Mercoledì 4 ottobre doppio appuntamentoore 11,30 – nella Sala Conferenze di Palazzo Corigliano, incontro con il cartoonist e artista palestinese Mohammad Sabaaneh, vincitore nel 2022 del prestigioso Palestine Book Awards, che presenta il suo graphic novel “Racconto Palestina” in collaborazione con il Dipartimento Asia, Africa e Mediterraneo dell’Università di Napoli L’Orientale e con la Comunità palestinese Campania.Con l’autore dialogano Monica Ruocco, Enrica Battista e Maria Rosaria Greco.ore 20,30 – presso il Ristorante Amir, via Santa Chiara 25, Mohammad Sabaaneh presenta il suo graphic novel “Racconto Palestina” in collaborazione con la Comunità palestinese Campania. A seguire cena palestinese a sostegno dell’iniziativa. Prenotazione obbligatoria al n. 081-5527380.Con l’autore dialogano Omar Suleiman, Enrica Battista e Maria Rosaria Greco.Salerno – Giovedì 5 ottobreore 19,00 – al Teatro Ghirelli di Salerno (via Antonio Gramsci) il terzo appuntamento con il fumettista Sabaaneh che presenta il suo graphic novel “Racconto Palestina” in collaborazione con la Comunità palestinese Campania e l’associazione Emersa. Con l’autore dialogano Enrica Battista, Maria Rosaria Greco, Andrea Monetta. Letture di Omar Suleiman.Salerno – Venerdì 6 ottobreore 18,30 – al Teatro Ghirelli di Salerno (via Antonio Gramsci) proiezione di due cortometraggi: “A Vittorio Arrigoni” con la regista Giulia Rosco e l’autrice Margherita Parascandolo e “il cielo di Sabra e Chatila” con l’autrice Eliana Riva, in collaborazione con Pagine Esteri, Legambiente, Emersa e Art-tre. Serata tutta al femminile con il racconto della Palestina che continua. Con le autrici sono presenti Maria Teresa Imparato e Maria Rosaria Greco.

RACCONTO PALESTINA
Un giorno qualsiasi, un uccello si posa sulla finestra di una cella e propone al prigioniero che la occupa un accordo: «tu porti la matita, io porto le storie». Racconto dopo racconto, uomo e uccello come dolenti cantastorie raccoglieranno i fili della memoria e del trauma intergenerazionale dell’occupazione ancora in corso, tessendo con il puntello di immagini vigorose e potenti le trame tormentate di un popolo in ostaggio, dove l’ordito però resta la speranza di una solidarietà ma anche la determinazione di una resistenza più forte del sopruso. I tre incontri organizzati fra Napoli e Salerno fanno parte del tour nazionale dell’autore di presentazione del graphic novel che include ben 10 città italiane (Genova, Bologna, Rovereto, Milano, Venezia, Roma, Caserta, Napoli, Salerno, Messina).

MOHAMMAD SABAANEH
(Jenin 1978) vignettista e caricaturista, dal 2002 collabora con diversi giornali arabi, tra cui “Al-Hayat al-Jadida”, e in Italia le sue vignette vengono spesso riprese da riviste come “Internazionale”, “Left”, “Fumettologica”. Ha insegnato alla Arab American University di Ramallah, è membro dell’International Cartoon Movement e rappresentante per il Medio Oriente dell’organizzazione Cartoonists Rights Network International (CRNI). Insignito di vari premi, sia nei paesi arabi che nel resto del mondo, oltre a numerose mostre personali, ha partecipato a diverse pubblicazioni internazionali in Europa e in Medio Oriente. La Georgetown University ha utilizzato le sue caricature per una ricerca scientifica. Nel 2017 è stato invitato in qualità di intellettuale più influente a rappresentare i palestinesi alle Nazioni Unite. Nello stesso anno, Sabaaneh ha ricevuto il primo premio all’Estaque International Caricature Festival di Marsiglia. «Racconto Palestina», pubblicato nel 2021 negli Stati Uniti con il titolo «Power Born of Dreams», ha vinto il prestigioso Palestine Book Awards 2022, nel Regno Unito.

FEMMINILE PALESTINESEIl racconto dunque è il focus della decima edizione di Femminile palestinese, rassegna nata nel 2014 a cura di Maria Rosaria Greco e promossa dal Centro di Produzione teatrale Casa del Contemporaneo. Dal 2021 diventa una sezione del progetto più ampio denominato Mediterraneo contemporaneo, che da quella data approfondisce ogni anno un paese diverso e allarga la visione decoloniale a tutto il Mediterraneo. Femminile palestinese parla di Palestina attraverso la sua cultura e la voce delle sue donne, o comunque tramite il contributo di studiose della cultura e della società palestinese. E soprattutto lancia una sfida: coniugare due luoghi, quello femminile e quello palestinese, entrambi abitati da pregiudizi, entrambi calpestati e considerati marginali se non addirittura colpevoli. Ogni incontro permette di conoscere da vicino la Palestina e il Vicino Oriente, le tensioni culturali e sociali, i sapori, la musica, la letteratura, l’arte e ogni ospite diventa un pezzo di questo racconto.Il progetto si avvale di partenariati consolidati negli anni, come in questo caso l’Università di Napoli l’Orientale, in particolare il Dipartimento di Asia, Africa e Mediterraneo, Pagine Esteri e la Comunità palestinese Campania, e si arricchisce ora della collaborazione di Legambiente, Emersa e Art.tre. Altre collaborazioni sono: il Comune di Salerno, l’Università degli studi di Salerno, la Fondazione Salerno Contemporanea, il Teatro Antonio Ghirelli, l’Accademia di Belle Arti di Napoli, ecc. Il quotidiano Il Manifesto è media partner.

Ritorna la rassegna Femminile palestinese, a cura di Maria Rosaria Greco, con un breve tour campano dello storico israeliano Ilan Pappe, professore alla University of Exeter, che sarà presente sia a Napoli (30 maggio) che a Caserta (31 maggio) per approfondire il tema della “doppia morale dell’Occidente, dalla Palestina alla crisi ucraina”.
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NAPOLI. Il primo appuntamento si tiene il 30 maggio alle 14,30, in collaborazione con l’Università degli studi di Napoli l’Orientale, Dipartimento di Asia, Africa e Mediterraneo, nella sala Conferenze di Palazzo Corigliano (Piazza San Domenico Maggiore, 12 – Napoli) e rientra nel ciclo di incontri Contemporanea Medio Oriente (2021-2022) curato da Lea Nocera e Daniela Pioppi. Nello stesso incontro alle 16,30 è prevista la presentazione del rapporto di Amnesty International sull’Apartheid di Israele contro i Palestinesi del febbraio 2022, che verrà illustrato da Tina Marinari e Riccardo Noury di Amnesty International Italia. Inoltre alle 18,30 circa la giornata si chiude con un breve incontro presso la libreria Tamu in via Santa Chiara per una firma copie della sua opera “Dieci miti su Israele” (Tamu Edizioni, 2022) pubblicata lo scorso aprile con la traduzione di Federica Stagni.
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CASERTA. Il secondo appuntamento si tiene il 31 maggio alle 18,30 in collaborazione con Pagine Esteri, rivista di politica internazionale diretta dal giornalista Michele Giorgio edita da Malia libreria – Spring Edizioni, a Caserta al Teatro Civico 14, presso Spazio X in via Petrarca (Parco dei Pini). Con Ilan Pappe sono presenti Michele Giorgio, corrispondente da Gerusalemme per il Manifesto e Maria Rosaria Greco, curatrice di Femminile palestinese.
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A 74 anni dalla fondazione dello Stato di Israele e quindi dalla pulizia etnica della Palestina iniziata nel 1948, lo studio della questione palestinese, a iniziare dalla necessità di decolonizzazione della Palestina alla doppia morale dell’Occidente, sono questioni centrali nella sua analisi di storico e pietre fondanti della sua ricerca. Il suo lavoro sfida da sempre la narrazione dominante, “di Stato”, portata avanti negli ultimi sette decenni dalla leadership politica e accademica israeliana, ma anche dal mondo occidentale.
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Nei suoi libri infatti Ilan Pappe parla spesso di “decolonizzazione” della Palestina che significa non solo interrompere e smantellare il colonialismo da insediamento sul territorio, avviato nel 1948, continuato nel 1967, e ampiamente attivo oggi, ma anche contrastare la sistematica azione che lui definisce di “memoricidio”, cioè la narrazione del progetto sionista nella società israeliana e nella comunità internazionale.
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A Napoli l’evento è sia in presenza e on line al link https://us02web.zoom.us/j/83563644950
A Caserta evento in presenza con mascherina ffp2 obbligatoria.
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ILAN PAPPE
È un amico della rassegna “Femminile palestinese” che lo ha ospitato a Salerno per tre volte negli anni. Uno dei più autorevoli storici israeliani, professore all’Università britannica di Exeter e autore di moltissimi testi considerati tra le ricerche più importanti su Israele e questione palestinese. Il suo libro più famoso è “La pulizia etnica della Palestina” (Fazi editore) in cui per primo definisce pulizia etnica quanto accaduto in Palestina nel 1948. Famoso anche “Palestina e Israele: che fare?” (Fazi editore) scritto insieme a Noam Chomsky, in cui afferma l’importanza del linguaggio nella decolonizzazione della Palestina. Invece la sua ultima opera pubblicata in Italia, “Dieci miti su Israele” (Tamu Edizioni) , con una puntuale analisi storica, smantella 10 miti considerati pilastri della narrazione ufficiale sulle origini e sull’identità di Israele.
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FEMMINILE PALESTINESE
Il breve tour di Ilan Pappe in Italia, nello specifico a Napoli e Caserta, fa parte della nona edizione di “Femminile Palestinese”, rassegna curata da Maria Rosaria Greco e promossa dal Centro di Produzione teatrale Casa del Contemporaneo. Interrotta dalla pandemia la rassegna riprende come sezione del progetto più ampio denominato Mediterraneo contemporaneo, avviato nel 2021 con un’edizione interamente dedicata al Libano e che approfondisce ogni anno un paese diverso del Mediterraneo. Femminile palestinese si avvale di partenariati consolidati negli anni, come in questo caso l’Università di Napoli l’Orientale, in particolare il Dipartimento di Asia, Africa e Mediterraneo, e Pagine esteri. Altre collaborazioni sono: Università di Salerno, Fondazione Salerno Contemporanea, Accademia di Belle Arti di Napoli, Comunità palestinese Campania. Il quotidiano Il Manifesto è media partner.
“Femminile palestinese” parla di Palestina attraverso la sua cultura e la voce delle sue donne, o comunque tramite il contributo di studiose della cultura e della società palestinese. La rassegna è scandita dalla presenza di giornaliste, arabiste, registe, storiche, antropologhe, cuoche, scrittrici, artiste, musiciste, etc., di donne in grado di attivare percorsi culturali diversi che ridisegnano e mettono in discussione i confini e le narrazioni dominanti.
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CONTEMPORANEA MEDIO ORIENTE (2021-2022)
Ciclo di conferenze curato dalle docenti Lea Nocera e Daniela Pioppi per il Dipartimento di Asia, Africa e Mediterraneo dell’Università degli studi di Napoli l’Orientale.
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PAGINE ESTERI
Rivista on line di approfondimento sociocuturale e politico su Medio Oriente, Africa, Mediterraneo e mondo. Diretta dal giornalista Michele Giorgio, corrispondete da Gerusalemme per il Manifesto, e edita da Malia libreria – Spring Edizioni di Caserta. Una informazione solida e indipendente dal Medio Oriente, dall’Africa, dal Mediterraneo e da altre regioni del mondo, basata su analisi, reportage, documenti, recensioni di libri e produzioni culturali, contesti, podcast, video e foto.

Foto di Pino Grimaldi

Dopo l’opening in Accademia di Belle Arti a Napoli (29/11 – 10/01 scorso) la mostra arriva a Salerno al Ghirelli dove viene presentata il 31 gennaio 2020, alle ore 17,30, con la tavola rotonda a cui sono presenti Giovanni Petrone, Presidente di Casa del Contemporaneo, Enrica D’Aguanno e Pino Grimaldi, curatori della mostra e docenti dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, Paolo Altieri, designer della comunicazione. Porta i saluti istituzionali, Antonia Willburger, Assessore alla Cultura del Comune di Salerno. Modera gli interventi Maria Rosaria Greco, curatrice della rassegna Femminile palestinese.

“Femminile palestinese” dal 2014 racconta la Palestina, attraverso la sua cultura e la voce delle sue donne, dando spazio a linguaggi artistici e culturali diversi. Negli anni la rassegna ha consolidato preziosi partenariati come in questo caso con l’Accademia di Belle Arti di Napoli, con la quale nasce questo progetto di comunicazione sociale, e con l’AIAP, l’Associazione Italiana Design della Comunicazione Visiva che da il patrocinio all’iniziativa e che esporrà, nella propria sede a Milano, la mostra “Comunicare la Palestina, una narrazione diversa”, subito dopo Salerno.

 

19 designer della comunicazione, docenti in università e accademie italiane, sono stati chiamati a una campagna di sensibilizzazione sulla questione palestinese, irrisolta dal 1948. Al di là della narrazione dominante che vede i palestinesi come terroristi e gli israeliani come vittime, non è mai stato presentato un progetto di comunicazione che faccia riflettere l’opinione pubblica, che possa contribuire a superare le ipocrisie della retorica della pace, mettendo a nudo una questione che è, tuttavia, piuttosto semplice. Gli israeliani hanno occupato la Palestina, cacciando i palestinesi e costringendoli a vivere in condizioni di subalternità sociale, morale, culturale, economica. I palestinesi sono prigionieri in casa propria.

I progetti dei 19 designer sono oggetto quindi della mostra e di un catalogo, insieme al convegno di apertura che affronta il tema della comunicazione sociale, della utilità ed efficacia del design per trasferire idee politiche, consapevolezza e impegno sociale.

La rassegna “Femminile palestinese” quest’anno alla settima edizione, curata da Maria Rosaria Greco e promossa dal Centro di produzione teatrale Casa del Contemporaneo, torna al Teatro Ghirelli di Salerno con la Mostra “Comunicare la Palestina, una narrazione diversa” a cura di Pino Grimaldi e Enrica D’Aguanno.

Dopo l’opening in Accademia di Belle Arti a Napoli (29/11 – 10/01 scorso) la mostra arriva a Salerno al Ghirelli dove viene presentata il 31 gennaio 2020, alle ore 17,30, con la tavola rotonda a cui sono presenti Giovanni Petrone, Presidente di Casa del Contemporaneo, Enrica D’Aguanno e Pino Grimaldi, curatori della mostra e docenti dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, Paolo Altieri, designer della comunicazione. Modera gli interventi Maria Rosaria Greco, curatrice della rassegna Femminile palestinese.

“Femminile palestinese” dal 2014 racconta la Palestina, attraverso la sua cultura e la voce delle sue donne, dando spazio a linguaggi artistici e culturali diversi. Negli anni la rassegna ha consolidato preziosi partenariati come in questo caso con l’Accademia di Belle Arti di Napoli, con la quale nasce questo progetto di comunicazione sociale, e con l’AIAP, l’Associazione Italiana Design della Comunicazione Visiva che da il patrocinio all’iniziativa e che esporrà, nella propria sede a Milano, la mostra “Comunicare la Palestina, una narrazione diversa”, subito dopo Salerno.

19 designer della comunicazione, docenti in università e accademie italiane, sono stati chiamati a una campagna di sensibilizzazione sulla questione palestinese, irrisolta dal 1948. Al di là della narrazione dominante che vede i palestinesi come terroristi e gli israeliani come vittime, non è mai stato presentato un progetto di comunicazione che faccia riflettere l’opinione pubblica, che possa contribuire a superare le ipocrisie della retorica della pace, mettendo a nudo una questione che è, tuttavia, piuttosto semplice. Gli israeliani hanno occupato la Palestina, cacciando i palestinesi e costringendoli a vivere in condizioni di subalternità sociale, morale, culturale, economica. I palestinesi sono prigionieri in casa propria.

I progetti dei 19 designer sono oggetto quindi della mostra e di un catalogo, insieme al convegno di apertura che affronta il tema della comunicazione sociale, della utilità ed efficacia del design per trasferire idee politiche, consapevolezza e impegno sociale.

Alla base dell’iniziativa ci sono alcune domande: un buon progetto di comunicazione, come una serie di poster d’autore, su un tema sociale e politico, può contribuire a cambiare un punto di vista? O almeno a indurre una riflessione su un tema così delicato e dimenticato come la questione palestinese?

La mostra infatti non ha lo scopo semplicemente di esporre una serie di esercizi di stile di alcuni noti designer italiani, quanto quello di sollecitare un pensiero teorico sul rapporto fra design della comunicazione e impegno politico, in particolare sull’efficacia della comunicazione. In altri termini, la comunicazione di utilità sociale può essere anche azione politica, con qualche effetto concreto, come indurre le persone a pensare?

L’obiettivo, come tutti gli appuntamenti della rassegna Femminile palestinese, è quello di accendere i riflettori su un tema dimenticato, di togliere la Palestina dall’isolamento, innanzitutto culturale, in cui è stata collocata e di contrastare la sistematica azione che lo storico israeliano Ilan Pappe definisce di “memoricidio nei confronti del popolo palestinese. Ilan Pappe, tra l’altro, ha voluto inserire una sua presentazione sull’importanza della comunicazione nel catalogo della mostra.

La mostra “Comunicare la Palestina, una narrazione diversa” rimane aperta dal 31 gennaio 2020 fino al 10 marzo 2020, presso il teatro Ghirelli di Salerno.

Un particolare ringraziamento va agli autori che hanno aderito con i propri progetti: Paolo Altieri, Enrica D’Aguanno, Geppy De Liso, Paolo De Robertis, Francesco Dondina, François Fabrizi, Cinzia Ferrara, Marialuisa Firpo, Pino Grimaldi, Gabriella Grizzuti, Gianni Latino, Roberta Manzotti, Armando Milani, Mario Piazza, Daniela Piscitelli, Andrea Rauch, Gianni Sinni, Leonardo Sonnoli, Marco Tortoioli Ricci.

INGRESSO LIBERO
DAL 31 GENNAIO AL 10 MARZO 2020

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La settima edizione della rassegna Femminile palestinese prosegue al Teatro Antonio Ghirelli con altre iniziative.
Il 14 e 15 febbraio sarà organizzata una due giorni dedicata al cinema e al cibo palestinese. “Cinema, hummus e falafel” vede la proiezione di “The fading Valley” di Irit Gal e “Omar” di Marco Mario De Notaris e Luca Taiuti, accompagnati da hummus e falafel.
Il 27 febbraio è previsto un momento dedicato al videoreportage “Donne di Gaza” sulle condizioni femminili di vita nella striscia.
Il 10 marzo il concerto con gli Hartmann che presentano il loro ultimo album “Trotula” che parla di Mediterraneo, donne e migrazione.
La rassegna “Femminile palestinese” con le ultime edizioni si colloca fra le manifestazioni di rilievo a livello nazionale che promuovono la cultura araba e in particolare quella palestinese.
Il progetto è promosso e sostenuto dal Centro di Produzione Teatrale Casa del Contemporaneo, con il partenariato di Accademia di Belle Arti di Napoli, AIAP, Università degli studi di Napoli l’Orientale, Comune di Salerno, Università degli studi di Salerno, Comunità palestinese Campania, Nena News Agency. Il quotidiano Il Manifesto è media partner.

La quinta edizione della rassegna “Femminile palestinese” si chiude con la scrittrice Adania Shibli, considerata fra le voci più significative della letteratura contemporanea palestinese. La Shibli è stata con noi due giorni.

Il 23 ottobre a Palazzo Du Mesnil, in un affollatissima sala delle conferenze, ci ha parlato della straordinaria collezione di libri raccolti nella biblioteca del grande pensatore al-Sakakini di Gerusalemme, che fu interamente svaligiata nel 1948 dagli impiegati di quella che all’epoca si chiamava biblioteca nazionale ebraica, oggi diventata Biblioteca nazionale d’Israele. I preziosissimi volumi, come molti altri sottratti ai loro proprietari costretti a lasciare le loro case durante la pulizia etnica di quell’anno, (parliamo di oltre trentamila libri) furono classificati ed etichettati con le lettere Ap, che stavano per Abandoned Property, proprietà abbandonata.

Il 24 ottobre invece c’è stato il confronto letterario fra Adania Shibli e la scrittrice britannica di origine palestinese Selma Dabbagh, moderato da Monica Ruocco, docente di lingua e letteratura araba all’università degli studi di Napoli l’Orientale.

La rassegna ritorna il prossimo anno, con la sesta edizione che prevede appuntamenti fra Salerno, Napoli e Roma. Il programma 2019, fra gli altri appuntamenti, soprattutto prevede la realizzazione di un progetto di comunicazione sociale in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Napoli: “Comunicare la Palestina. Una narrazione diversa” che coinvolge 19 designer della comunicazione italiani per la creazione di poster con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica attraverso una narrazione diversa da quella dominante. I vari lavori poi saranno oggetto di una mostra, di un catalogo e di una tavola rotonda, sul tema della comunicazione sociale e sull’importanza di coniugare l’arte all’impegno politico e sociale. La mostra sarà a cura di Pino Grimaldi, docente di design in Accademia di Belle Arti di Napoli.

La rassegna “Femminile palestinese” con le ultime edizioni si colloca fra le manifestazioni di rilievo a livello nazionale che promuovono la cultura araba e in particolare quella palestinese.

Il progetto è promosso e sostenuto dal Centro di Produzione Teatrale Casa del Contemporaneo, con il partenariato di Università degli studi di Salerno, Università degli studi di Napoli l’Orientale, Comune di Salerno, Fondazione Salerno Contemporanea, Accademia di Belle Arti di Napoli, Comunità palestinese Campania, Nena News Agency. Il quotidiano Il Manifesto è media partner.

 

La rassegna ritorna con la sesta edizione che prevede appuntamenti fra Salerno e Napoli. Il primo incontro si è tenuto venerdì 24 maggio 2019, alle ore 19,00 presso il Circolo Arci Marea di Salerno, con “Femminile palestinese incontra Michele Giorgio” in cui l’autore ha presentato il libro “Israele, mito e realtà, il movimento sionista e la Nakba palestinese settant’anni dopo”, Edizioni Alegre, scritto insieme a Chiara Cruciati. Con lui erano presenti Giso Amendola, docente di Sociologia del diritto, Università degli studi di Salerno e Roberto Prinzi, giornalista di Nena News.

Il programma 2019, poi, prosegue a novembre e vede innanzitutto la realizzazione di un progetto di comunicazione sociale in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Napoli: “Comunicare la Palestina. Una narrazione diversa” che coinvolge 18 designer della comunicazione italiani per la creazione di poster con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica attraverso una narrazione diversa da quella dominante. I vari lavori poi saranno oggetto di una mostra, di un catalogo e di una tavola rotonda, sul tema della comunicazione sociale e sull’importanza di coniugare l’arte all’impegno politico e sociale. La mostra che si tiene presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, è a cura di Pino Grimaldi e Enrica D’Aguanno, docenti di design in ABANA.
La presentazione della mostra si tiene il 29 novembre alle 11,00 presso l’aula magna dell’Accademia di Belle Arti di Napoli.

Nel 2020, settima edizione, la mostra “Comunicare la Palestina. Una narrazione diversa” da Napoli si sposta a Salerno, al Teatro Antonio Ghirelli, dove viene presentata il 31 gennaio e dove rimane in esposizione fino alla fine della stagione teatrale. Il programma poi prosegue a febbraio, il 14 e 15, con due giorni dedicati al cinema e al cibo palestinese, “Cinema, hummus e falafel”che vede la proiezione presso il Teatro Antonio Ghirelli di “Fra cielo e terra” di Sahera Dirbas, “Farid” di Ashraf Shakah, “The fading Valley” di Irit Gal e “Omar” di Marco Mario De Notaris e Luca Taiuti, accompagnati da hummus e falafel. Il 27 febbraio, invece, è previsto un momento dedicato al reportage “Donne di Gaza” sulle condizioni femminili di vita nella striscia. Anche quest’anno la rassegna sarà scandita dalla presenza di giornaliste, arabiste, registe, scrittrici, artiste, musiciste, studiose della cultura e della società palestinese

La rassegna “Femminile palestinese” con le ultime edizioni si colloca fra le manifestazioni di rilievo a livello nazionale che promuovono la cultura araba e in particolare quella palestinese.

Il progetto è promosso e sostenuto dal Centro di Produzione Teatrale Casa del Contemporaneo, con il partenariato di Università degli studi di Salerno, Università degli studi di Napoli l’Orientale, Comune di Salerno, Fondazione Salerno Contemporanea, Accademia di Belle Arti di Napoli, Comunità palestinese Campania, Nena News Agency. Il quotidiano Il Manifesto è media partner.

Intervista con la scrittrice palestinese Adania Shibli ospite a Napoli di «Femminile palestinese». Nata in un villaggio dell’alta Galilea, dell’autrice sono stati tradotti «Sensi» e «Pallidi segni di quiete». Vincitrice del premio della fondazione A. M. Qattan, la sua scrittura dialoga con una dura storia collettiva
di Roberto Prinzi

Raccontare il dolore, l’estraniamento, l’umiliazione quotidiana causate dall’occupazione israeliana della sua terra, la Palestina, soffermandosi su piccoli dettagli che, messi insieme, arrivano a indagare i sentimenti più nascosti dell’animo umano. È questa la cifra stilistica della scrittrice Adania Shibli, nata nel 1974 in un villaggio dell’alta Galilea e vincitrice tre volte del premio della fondazione A. M. Qattan.

Dell’autrice palestinese sono stati tradotti in italiano due libri: Sensi (nel 2007) e Pallidi segni di quiete (nel 2014) pubblicati entrambi da Argo. È stata ospite a Napoli ieri e l’altro ieri della quinta edizione della rassegna Femminile palestinese curata da Maria Rosaria Greco.

Lei scrive che i «palestinesi sono come dei detective alla ricerca della tracce di una vita scomparsa». Dove è il confine in Palestina tra visibile e invisibile?
Per me la questione è più chi decide i confini tra visibile e invisibile. Come primo passo del processo di oppressione, le autorità israeliane lavorano costantemente per cancellare la Palestina. Ciò avviene a molti livelli: dall’architettura dei paesaggi all’archeologia, dalla costruzione di strade per coloni alla distruzione e allo sradicamento di case e alberi. L’esistenza palestinese è poi spesso resa invisibile anche quando li si rende visibili soltanto in una situazione specifica: quando reagiscono alla violenza coloniale con mezzi violenti. E in questo anche i media ne sono responsabili.
Altro aspetto da sottolineare è la riduzione a silenzio delle voci palestinesi. Per le autorità israeliane la lingua araba è diventata uno strumento che identifica i palestinesi e, pertanto, va soppressa. La recente legge sulla nazionalità degrada l’arabo da lingua ufficiale a «lingua a status speciale» e ha come obiettivo quello di rendere il linguaggio invisibile. L’odio e la discriminazione verso i palestinesi inizia a un livello sonoro, non solo a quello visivo: ascoltarli, sentire la loro narrativa è insostenibile perché è una minaccia. Perciò la loro lingua (l’arabo) deve essere silenziata oltre che sabotata.

Nei suoi libri lei descrive il dolore, la solitudine, l’estraniamento causati dall’occupazione israeliana. Eppure, non c’è spazio per la resa e la disperazione perché si resiste cogliendo piccoli dettagli della vita: gli occhi verdi del vicino, il vento dei campi…
Non limiterei le cause del dolore, della solitudine e dell’estraniamento alla colonizzazione e occupazione israeliane perché queste sono caratteristiche umane. È vero che Israele riveste a riguardo un ruolo di primo piano, ma è più interessante osservare come gli esseri umani in generale coniugano questi sentimenti e si possano nascondere o scusare per quello che fanno grazie a loro. I dettagli di vita presenti nei miei testi possono essere sia di dolore che di solitudine, ma anche domini dove si può resistere. Se noti il vento nei campi perché sei solo, è pur vero che questa situazione ti rivela un aspetto della vita che è un momento fugace e prezioso che ti permette di resistere, di rimanere resiliente di fronte alla solitudine o al dolore.

Contro l’assurdità dell’occupazione, lei sembra suggerire – attraverso la sua scrittura – due forme di resistenza: la ricerca della bellezza e una sorta di autismo («tawwahud») emotivo. I fallimenti di decenni di lotta nazionale le hanno fatto perdere la fiducia nella storia collettiva?
L’occupazione non è affatto assurda: è pensata e misurata con modalità che causano ai palestinesi emozioni assurde e conflittuali, ponendoli ai margini della loro umanità. In una situazione simile, l’atto di scrivere può servire, ma non si materializza in una deliberata opposizione tra esperienze individuali e collettive. Scrivere, e probabilmente parlare e sentire, sono spesso i domini in cui un individuo crea una zona dove si protende verso gli altri abbandonando la propria individualità. La mia scrittura tenta probabilmente di contemplare lo spazio creato da queste esperienze singolari e cosa queste creano nella collettività. Non parlerei, tuttavia, di fallimenti politici palestinesi quando parliamo di storia collettiva. I palestinesi non possono essere colpevolizzati per i fallimenti a cui sono stati soggetti, ma sono responsabili quando cadono nelle trappole che Israele pone. I checkpoint, costruiti per insultarci, umiliarci e cancellarci come esseri umani, causano rabbia e vendetta, ma se si reagisce così, si adotta la posizione che l’occupazione israeliana ha concepito per noi. È qui il fallimento.

Nonostante la centralità della Palestina, lei ha detto che i suoi lavori sono «senza spazio e dislocati». Vuole rappresentare una condizione di sradicamento dell’umanità più generale?
In realtà non voglio rappresentare nulla perché farlo vuol dire assumere una posizione di potere. A me piace guardare, contemplare e riflettere. Se parte del mio lavoro è «senza spazio e dislocato», lo è puramente perché è il risultato di una contemplazione su come qualcuno possa esserlo.

La sua scrittura evoca costantemente immagini. Quanto la sua prosa, a tratti lirica, prende in prestito dalla grande tradizione poetica palestinese e dalle arti visive?
Forse la mia scrittura evoca immagini perché guardo e contemplo. La mia curiosità e i miei molteplici interessi formano il mio modo di scrivere. Non classifico però le influenze in base a categorie nazionalistiche. La lingua araba si materializza non solo per le cose che sono state scritte dai palestinesi, ma anche attraverso le traduzioni che sono state fatte in arabo. Tradurre in arabo ad esempio Wislawa Szymborska apre la mia lingua a nuove sensibilità e fa rientrare il suo lavoro nella grande tradizione poetica in arabo.

Contrariamente a quanto ha fatto lei, alcuni autori palestinesi d’Israele pubblicano anche (o solo) in ebraico. Come giudica la loro scelta?
La definizione «palestinesi d’Israele» è un’invenzione degli israeliani. Mi mette in una categoria che non ho scelto e in cui non consento di essere messa. Tutte queste divisioni [terminologiche] sono frutto della loro opera di colonizzazione. La scelta di scrivere in una lingua differente dall’arabo è una scelta personale: ognuno decide per sé. Io sono molto felice di essere nata di lingua araba. Che fortuna, in un mare di sfortuna. Nena News

Pubblicato su il manifesto in data 23 ottobre 2018

La rassegna prosegue a ottobre e sarà nostra ospite la scrittrice Adania Shibli.  Femminile palestinese continua l’analisi dello scenario contemporaneo in Palestina a 70 anni dalla fondazione dello stato israeliano. In questa riflessione, il ruolo della donna è ancora una volta centrale per i percorsi culturali che sa attivare e per come sa ridisegnare e mettere in discussione i confini e le narrazioni dominanti. La rassegna anche quest’anno sarà scandita dalla presenza di giornaliste, arabiste, registe, antropologhe, cuoche, scrittrici, artiste, musiciste, studiose della cultura e della società palestinese. Il focus di questa quinta edizione è comunicare la Palestina.

In particolare, l’edizione 2018 ha in programma la realizzazione del progetto “Palestina-Israele. Oltre la narrazione in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Napoli: 15 designer della comunicazione verranno chiamati a una campagna di sensibilizzazione sulla questione palestinese, ognuno di loro quindi dovrà creare un poster che porti avanti una narrazione diversa da quella ufficialmente proposta dai media. I prodotti finali saranno oggetto di una mostra, un catalogo e una tavola rotonda sul tema della comunicazione sociale. Il programma, poi, vede la presenza della scrittrice palestinese Adania Shibli in un incontro organizzato in collaborazione con l’Università di Napoli l’Orientale. Ancora spazio, infine, a cinema e gastronomia palestinesi con l’evento “Cinema, hummus e falafel” che prevede la proiezione di “Fra cielo e terra” di Sahera Dirbas, “Farid” di Ashraf Shakah, “The fading Valley” di Irit Gal, accompagnati da hummus e falafel. Reading, presentazioni di libri e spettacoli teatrali completeranno la programmazione.

Anche per questa quinta edizione il progetto è promosso e sostenuto dal Centro di Produzione Teatrale Casa del Contemporaneo in partenariato con Università di Salerno, Università di Napoli l’Orientale, Fondazione Salerno Contemporanea, Accademia di Belle Arti di Napoli, Museo MADRE, Comunità palestinese Campania, Nena News Agency. Il quotidiano Il Manifesto è media partner.

La scorsa edizione ha visto la presenza del regista palestinese Amer Shomali e la proiezione del suo film “The Wanted 18”con incontri itineranti in varie città e in diversi luoghi culturali. Il film con la presenza dell’autore è stato proiettato in Università di Salerno, al museo Madre di Napoli, all’Accademia di Belle Arti di Napoli e all’Università La Sapienza di Roma. Dopo il cinema palestinese, è stato il momento della letteratura con la presentazione di “Uomini sotto il sole” di Ghassan Kanafani ristampato a cura di Isabella Camera D’Afflitto, dopo la prima traduzione del 1984 fatta da una piccola casa editrice salernitana, la Ripostes, che introduceva Kanafani in Italia. Infine la rassegna si è dedicata alla cucina popolare palestinese con il corso di due giorni tenuto dalla chef e blogger Fidaa Abuhamdieh.

Il nostro racconto continua e anche quest’anno vi aspettiamo numerosi, ci piace sentirci immersi nel vostro calore.

Tempi presenti. Un’intervista con l’antropologa Ruba Salih, ospite domani della rassegna «Femminile Palestinese» curata da Maria Rosaria Greco, su decolonizzazione e libertà accademica. «Il meccanismo attraverso cui una cultura giustifica la violenza gli permette di autoescludersi da essa»

di Chiara Cruciati   il Manifesto

A settant’anni anni dalla Nakba e la fondazione dello Stato di Israele il popolo palestinese vive da rifugiato, apolide e disperso. Dentro la Palestina storica la colonizzazione israeliana prosegue incessante, supera le frontiere ed entra nel linguaggio, la produzione del sapere, la narrativa internazionale.

Il processo di «memoricidio», come l’ha definito lo storico israeliano Ilan Pappe, ha permesso a Israele di radicare nell’immaginario collettivo miti che non hanno riscontro storico, un’idea di Israele che plasma una storia e forgia un linguaggio, quelli del vincitore.

Ne abbiamo discusso con Ruba Salih, antropologa italo-palestinese e docente alla Soas dell’Università di Londra. Con Pappe è stata all’Università di Salerno ieri per discutere di «Decolonizzazione e libertà accademica», evento della rassegna Femminile Palestinese curata da Maria Rosaria Greco.

Cosa significa decolonizzare l’accademia?

Gli effetti del processo coloniale del secolo scorso, la cui espressione attuale è l’occupazione israeliana, rimbalzano nel mondo accademico, non esistendo una produzione del sapere isolata dagli avvenimenti politici esterni. Si vede nei programmi, le politiche delle università, i testi spesso distorti in quanto riproduttori di canoni coloniali. La decolonizzazione si realizza in primo luogo individuando i legami che la produzione del sapere ha con l’apparato economico, militare e politico responsabile dei processi neocoloniali.

In secondo luogo svelando i modi in cui l’università riproduce una politica economica non neutrale ma basata su rapporti di potere: attraverso corporation e investimenti in paesi in cui tali processi sono in atto e attraverso l’ammissione di studenti di una certa classe o etnia, decidendo a priori chi diventerà élite e chi ne sarà escluso. In terzo luogo agendo sulla cultura politica quotidiana, ripensando la performatività dell’insegnamento e le modalità di rapporto con persone che non hanno la stessa tradizione pedagogica o epistemologica.

Infine, decolonizzando il sapere: analizzare come i paradigmi neocoloniali sono riproposti nella letteratura, ancora improntata sul sapere bianco, maschile, di upper class, che rappresenta culture e popoli diversi come soggetti chiusi e statici, oggetti di ricerca estranei alla loro dimensione politica e culturale. Una forma di feticismo.

In Italia sono stati cancellati eventi, anche da università, incentrati sulla Palestina. Lei è stata protagonista di un simile atto di censura. Cosa è successo?

A novembre avevo organizzato un evento con Omar Barghouti all’Università di Cambridge. L’ateneo lo ha cancellato e io sono stata accusata di non essere neutrale. Un attacco gravissimo, che prelude alla messa in discussione della mia capacità di insegnamento, e al mondo accademico in sé perché la censura è giunta nel quadro di Prevent, la legge britannica anti-terrorismo e anti-radicalizzazione. La sua oscura implementazione ha trasformato le università in luoghi di sospetto dove la libertà di espressione si è assottigliata.

E Prevent ha un capitolo dedicato alla questione palestinese, etichettata come area di radicalismo. Professori e studenti si sono mobilitati: sono state raccolte firme e il caso è stato reso pubblico. Cambridge è stata accusata di violazione della libertà di espressione e di insegnamento. E alla fine si è scusata, dicendo di aver ceduto alle pressioni di quelle che ha definito lobby. In Inghilterra sono fortissime, gruppi con la missione di limitare le espressioni di solidarietà con la Palestina.

Intervengono con diverse strategie: l’ambasciatore israeliano fa il giro delle università come ospite; attivisti pro-israeliani intervengono sistematicamente nei dibattiti per ridicolizzare la discussione, accusare di antisemitismo o filmare i presenti, compiendo violenza psicologica. Si difendono parlando di libertà di parola, che però non vale in senso positivo visto che ci impediscono di esercitare la nostra. Promuovono un’idea asettica e neo-liberal della neutralità, che si applica solo ad alcuni ambiti.

In un suo saggio su islamismo e femminismo parla della necessità di superare «l’approccio etnocentrico con cui molta parte del pensiero femminista occidentale ha per lungo tempo guardato ad altre esperienze di emancipazione, soprattutto nel mondo islamico». Siamo fermi alla visione coloniale del secolo scorso, paternalismo e superiorità intellettuale?

Oggi non esiste nemmeno più l’approccio paternalistico verso le donne dei paesi colonizzati, quella missione «civilizzatrice» che il colonizzatore si attribuiva. Si è andati oltre gerarchizzando l’umanità. Con la rinascita di movimenti neofascisti non c’è più bisogno di produrre un discorso legittimizzante: l’altro non esiste in quanto essere umano. Macerata ha palesato l’approccio suprematista che cancella il discorso culturale con cui il colonialismo si legittimava. Scompare anche la «curiosità» che mosse i colonizzatori, una conoscenza mirante al controllo in senso foucaultiano. Oggi l’interesse alla conoscenza non c’è perché una parte di umanità va esclusa ai fini dello sviluppo generale. Su questo ha un ruolo anche l’accademia dove riemergono pericolose riabilitazioni di rappresentazioni coloniali, che nella pratica pesano su studenti di una certa provenienza, sottoposti a draconiane misure di controllo.

Rientra in tale contesto anche il superficiale approccio all’Islam, etichettato come religione di oppressione femminile?

Si è fermi all’idea coloniale della donna come priva di volontà e capacità di decidere per sé. Il discorso è simbolico e politico: sui corpi delle donne si costruisce il senso della nazione e si misurano i suoi confini rispetto alle altre. La questione in Occidente non attiene alla donna in sé, ma alla necessità di giustificare l’enorme violenza che le società occidentali esercitano sulle donne.

Pensiamo alle due giovani uccise in Italia con quasi identiche modalità, Pamela a Macerata e Jessica a Milano: nel primo caso un paese si è mobilitato fino a un attentato terroristico quasi legittimato; sul secondo è calato il silenzio, seppur si tratti di identica violenza esercitata da un uomo. Il meccanismo attraverso cui una cultura giustifica la violenza gli permette di autoescludersi da quella violenza, riproponendo l’idea che il male sia altrove.

Domani, a Salerno, prenderà parte alla rassegna «Femminile palestinese», che racconta la Palestina attraverso le voci delle donne…

Il movimento delle donne in Palestina è vecchio di cento anni, inserito in una società tradizionale dove coestistono movimenti femministi, religiosi, comitati popolari, dove la resistenza è quotidiana. In Palestina dove c’è politica ci sono le donne, come ci sono nella produzione culturale e artistica di cui spesso hanno influenzato se non modificato la narrativa (penso a scrittrici come Sahar Khalifeh o poetesse come Fadwa Tuqan). Eppure per lungo tempo l’occupazione israeliana ha guardato alle donne palestinesi come soggetti fragili e quindi oggetto di minore violenza diretta. Non per umanità ma per una struttura mentale coloniale che guarda alla società palestinese come retrograda e patriarcale.

Oggi il cambiamento è dirompente: se nella Prima Intifada c’è stata una sospensione dei ruoli di genere, perché le donne partecipavano alle diverse forme di disobbedienza civile e alla costruzione della società esattamente come gli uomini, oggi le donne – lo dimostra Ahed Tamimi – hanno ripreso un ruolo su tutti i livelli, anche quello fisico, ponendo i loro corpi contro l’occupazione. È una presenza che parla agli uomini palestinesi ma anche all’occupazione, un doppio processo di de-mascolinizzazione.

Da giorni le università britanniche sono in sciopero. Quali le ragioni?

È il più grande sciopero della storia accademica britannica contro il progetto di far dipendere le pensioni dall’andamento del mercato: si profila un dimezzamento della pensione. Ciò significa che chi non viene da famiglie benestanti sarà escluso dal mondo accademico. È un attacco generalizzato alla cultura, giustificato con la bugia del deficit. Ma se gli studenti pagano in media 9mila sterline l’anno, gli atenei licenziano, ristrutturano e non reinvestono in borse di studio o programmi educativi. Al contrario raddoppiano gli stipendi dei manager e investono nel settore immobiliare. Nulla di nuovo nel panorama del neoliberismo. Di nuovo c’è il mix tra delegittimazione degli accademici e guerra dei ricchi ai poveri.

Domani incontro a Salerno insieme a Ilan Pappe

«Palestina, decolonizzazione e libertà accademica»: è il titolo dell’incontro domani 2 marzo alle 10.30 nell’aula Vittorio Foa del dipartimento Dspsc dell’Università di Salerno. Organizzato dalla rassegna «Femminile Palestinese», curata da Maria Rosaria Greco e da Casa del Contemporaneo, vedrà l’intervento dello storico israeliano Ilan Pappe e dell’antropologa italo-palestinese Ruba Salih, che discuteranno del tema con Giso Amendola e Gennaro Avallone.

A intrecciarsi sono i temi dirimenti della decolonizzazione dentro e fuori l’accademia, sfida alla narrazione israeliana che si è imposta nel discorso occidentale sulla questione palestinese. L’incontro si inserisce all’interno di una rassegna, alla quinta edizione, focalizzata sull’analisi dello scenario contemporaneo in Palestina attraverso voci e storie di donne, giornaliste, registe, cuoche, artiste.

All’evento di venerdì seguiranno l’incontro con la scrittrice palestinese Adania Shibli e la rassegna cinematografica e gastronomica «Cinema, hummus e falafel». In questi giorni è inoltre in uscita la seconda edizione del libro «Di storia in storia. From tale to tale», ora bilingue, pubblicato da Oèdipus Edizioni a cura di Maria Rosaria Greco: la trascrizione integrale della lectio magistralis che Ilan Pappe tenne a Salerno sulla pulizia etnica della Palestina e sull’importanza del linguaggio e del ruolo dell’accademico. Il libro vuole essere il primo di una serie di «quaderni della rassegna» che ne permettano una documentazione puntuale.

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