di Maria Rosaria Greco*

Roma, 16 ottobre 2018 – È il momento della letteratura per la rassegna Femminile palestinese che ospita Adania Shibli, scrittrice considerata fra le voci più significative della letteratura contemporanea dei territori occupati. Nata nel 1974 nell’alta Galilea, in un villaggio interno al confine israeliano, oggi vive tra Berlino, Ramallah e Gerusalemme. Vincitrice di numerosi premi, attira l’attenzione di scrittori e critici palestinesi, tra cui Mahmud Darwish che la invita a pubblicare i suoi racconti sulla rivista al-karmil, da lui fondata a Beirut nel 1981, e ripubblicata a Ramallah dal 1996. Oltre all’attività di scrittrice, ha compiuto studi in comunicazione, giornalismo e regia cinematografica, lavora nel campo delle arti visive e collabora con importanti istituzioni culturali palestinesi come al-Hakawati Theater di Gerusalemme e il Sakakini Cultural Centre di Ramallah.

Adania Shibli, come altri scrittori della sua età, non ha vissuto personalmente la Nakba. Fa parte di una generazione che invece ha visto la prima e la seconda intifada, toccando da vicino i fallimenti degli accordi di Oslo, con il conseguente aumento di check point e la costruzione del muro. La sua produzione letteraria quindi prende ispirazione da un vissuto scandito dal quotidiano, in particolare dal quotidiano non esistere dei palestinesi: umiliazione, distruzione, morte, violazione di ogni diritto umano e civile, come la totale assenza di libertà. In uno dei suoi racconti spiega quanto la libertà esista solo nell’immaginario e sia lontana e irraggiungibile come le nuvole: “Ma le nuvole continuano a muoversi, una dietro l’altra, senza fine, e senza calore. Non importa quanto questo sentimento sembri innocente, ma arriva sempre il giorno in cui invidiamo il movimento leggero delle nuvole in cielo, e la libertà degli uccelli nello spostarsi da un luogo all’altro.” (Pallidi segni di quiete, a cura di M. Ruocco – Argo ed., 2014).

Crescere in Palestina vuol dire essere sottoposti al tentativo di Israele di far scomparire i palestinesi”, racconta in un’intervista la Shibli, che oppone a questo l’affermazione di una identità culturale, a iniziare dalla lingua. Sebbene conosca perfettamente l’inglese e l’ebraico, Adania scrive in arabo dedicando una particolare attenzione all’aspetto linguistico, con una potenza narrativa essenziale e eidetica, spesso fatta di immagini. Con lei si delinea un nuovo modo, molto interessante, di fare letteratura. La descrizione dei piccoli gesti della vita quotidiana permette di entrare in punta di piedi, con leggerezza, in una intimità quasi sospesa, violata dal dolore profondo. Un dolore che Adania cerca di sedare, focalizzando l’attenzione sulle piccole cose di tutti i giorni, come se non esistesse la lacerazione della sofferenza, troppo assurda da accettare. Una sorta di indifferenza emotiva, come scrive Monica Ruocco nella sua introduzione al romanzo “Sensi” (Masàs) premiato nel 2001 dalla A. M. Qattan Foundation di Londra come migliore opera prima, da lei tradotto nel 2007 con Argo: “una indifferenza emotiva che per migliaia di individui è l’unico modo di difendersi dall’orrore”. Come cerca di difendersi dal dramma la ragazzina, protagonista del romanzo, che, durante il funerale del fratello, è preoccupata per tutto il tempo di coprire con la mano un buco sul ginocchio sinistro dei suoi pantaloni di velluto blu.

In italiano sono tradotti, oltre al romanzo Sensi (trad. di Monica Ruocco, Argo ed., 2007), anche la raccolta di racconti Pallidi segni di quiete (a cura di M. Ruocco – Argo ed., 2014), e pubblicazioni uscite su varie riviste letterarie. Le sue opere sono tradotte anche in inglese, francese, ebraico.

Adania Shibli è a Napoli, ospite della rassegna Femminile palestinese il 23 ottobre 2018, alle 16,30 presso la sala conferenze di Palazzo Du Mesnil, (via Chiatamone 61) con lei dialoga Monica Ruocco, docente di lingua e letteratura araba dell’Università degli studi di Napoli “l’Orientale” – dipartimento di Asia, Africa e Mediterraneo. Inoltre il giorno dopo, il 24 ottobre, alle 18,00, presso la libreria Tamu (via Santa Chiara 10), la Shibli incontra la scrittrice Selma Dabbagh, in un confronto letterario, moderato da Monica Ruocco. 
La Dabbagh è autrice di Fuori da Gaza, (trad di B. Benini – Il Sirente ed., 2017), suo primo e acclamato romanzo, “Gardian Book of the year” nel 2012 e tradotto anche in francese e arabo. Nata a Dundee, in Scozia nel 1970, è una scrittrice britannica, di madre inglese e padre palestinese originario di Jaffa. Ha vissuto in Arabia Saudita, Kuwait, Francia e Bahrein e ha lavorato come avvocato per i diritti umani a Gerusalemme, Il Cairo e Londra.

La rassegna, quest’anno alla quinta edizione, è promossa e sostenuta dal Centro di Produzione Teatrale Casa del Contemporaneo, in partenariato con Regione Campania, Università degli studi di Napoli l’Orientale, Accademia di Belle Arti di Napoli, Università degli studi di Salerno, Comune di Salerno, Fondazione Salerno Contemporanea, Comunità palestinese Campania, Nena News Agency. La programmazione prosegue nel 2019, qui di seguito alcuni degli appuntamenti:

Comunicare la Palestina: una narrazione diversa, in collaborazione con il Corso di Design della Comunicazione dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, il progetto coinvolge 15 designer della comunicazione italiani per la creazione di poster con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica attraverso una narrazione diversa da quella dominante. I vari lavori saranno oggetto di una mostra, di un catalogo e di una tavola rotonda sul tema della comunicazione sociale e sull’importanza di coniugare l’arte all’impegno politico e sociale.

Per la prima volta in Italia, il concerto con la band siriano-palestinese Hawa Dafipresso il teatro Ghirelli di Salerno. Dalle Alture del Golan, il gruppo ha sviluppato un’identità musicale unica fondendo strumentazione araba, jazz, rock energico, reggae e musica gitana. È previsto poi un incontro con gli studenti del corso di laurea di letteratura araba in Università Orientale a Napoli e infine una jam-session a Napoli.

Invece “Cinema, hummus e falafel” è il momento dedicato al cinema e al cibo palestinese: Fra cielo e terra” di Sahera Dirbas, “Farid” di Ashraf Shakah, “The fading Valley” di Irit Gal saranno proiettati presso il teatro Ghirelli di Salerno accompagnati da hummus e falafel.

E poi reading (Voci di scrittori arabi di ieri e di oggi curato da Isabella Camera D’Afflitto, Bompiani – 2017), presentazioni di libri (di Chiara Cruciati e Michele Giorgio, Israele, mito e realtà – ed. Alegre, 2018) e spettacoli teatrali completeranno la programmazione. 

* ideatrice e curatrice della Rassegna Femminile Palestinese

 
pubblicato su Nena-news
http://nena-news.it/femminile-palestinese-la-scrittrice-adania-shibli-a-napoli/

di Maria Rosaria Greco*

Roma, 26 febbraio 2018, Nena News – “Palestina, decolonizzazione, libertà accademica” è il tema dell’incontro con cui ritorna la rassegna Femminile palestinese, quest’anno alla quinta edizione. Il 2018 inizia con la presenza dello storico israeliano Ilan Pappe (University of Exeter) e dell’antropologa italo-palestinese Ruba Salih (SOAS – School of Oriental and African Studies, University of London) il 2 marzo 2018, alle ore 10.30, presso l’Aula Vittorio Foa del DSPSC (Dipartimento di Scienze Politiche, Sociali e della Comunicazione) dell’Università di SalernoCon loro intervengono Giso Amendola, Sociologia del diritto (Università di Salerno) e Gennaro Avallone, Sociologia urbana (Università di Salerno). L’incontro è aperto a tutti.

La decolonizzazione culturale della Palestina è il focus che entrambi gli ospiti, protagonisti del panorama accademico internazionale, analizzano da anni. Ruba Salih, professore associato alla SOAS, Università di Londra, è anche membro del Consiglio arabo per le scienze sociali e fondatrice del sottocomitato per la libertà accademica nella regione araba. Ilan Pappe, in Palestina e Israele: che fare? (Fazi editore), scritto a quattro mani con il linguista Noam Chomsky, riflette proprio sull’importanza di utilizzare parole come “decolonizzazione” al posto di “processo di pace”, oppure “pulizia etnica” al posto di “Nakba” per poter ribaltare significati che da sempre si inseguono nella continua confusione fra vittima e carnefice. A 70 anni dalla fondazione dello Stato di Israele e quindi dalla pulizia etnica della Palestina, iniziata nel 1948, “decolonizzazione” e “libertà accademica” sono temi centrali attorno ai quali si fonda tutta la sua ricerca e il suo lavoro che sfida, da sempre, la narrazione della storiografia ortodossa israeliana.

Decolonizzare significa non solo interrompere e smantellare il colonialismo da insediamento sul territorio, avviato nel 1948, continuato nel 1967, e ampiamente attivo oggi in Palestina, ma anche contrastare la sistematica azione che Pappe definisce di “memoricidio”cioè la narrazione del progetto sionista nella società israeliana e nella comunità internazionale. Lo storico ne parla nei suoi libri, in particolare negli ultimi due pubblicati nel 2017: Ten myths about Israel (Dieci miti su Israele) The biggest prison on earth: a history of the occupied territories (La più grande prigione al mondo: una storia dei territori occupati).

Nel primo, con una puntuale analisi storica, esamina le idee più contestate riguardo alle origini e all’identità di Israele. Spiega come la disinformazione storica, anche recente, promuova l’oppressione, l’ingiustizia e protegga un regime di colonizzazione. Uno dei miti affrontati, per esempio, è l’affermazione sionista secondo cui la Palestina era una terra vuota. I registri ottomani del 1878 parlano di una popolazione pari a quella odierna in Israele/Palestina di cui l’87% erano musulmani, il 10% cristiani e il 3% ebrei. E la Palestina non era un deserto, ma una fiorente società araba con una rete costiera di porti e città molto attive nei collegamenti commerciali con l’Europa, mentre le fertili pianure interne intrattenevano scambi commerciali con le regioni vicine dell’entroterra. Dunque quella “terra vuota” era parte di un ricco mondo del Mediterraneo orientale che nel XIX secolo si avviava verso processi di modernizzazione e nazionalizzazione.

Nel secondo libro, The biggest prison on earth: a history of the occupied territories Ilan Pappe invece racconta di insediamenti, posti di blocco e punizioni collettive assolutamente pianificate in quanto parte del progetto sionista di colonizzazione. Lo storico spiega con chiarezza il meccanismo creato per governare in maniera efficace milioni di palestinesi, che vivono in una prigione a cielo aperto da 50 anni. Questo libro è stato selezionato per il “Palestine Book Award 2017, e, come il primo, è stato pubblicato nel cinquantesimo anniversario della guerra del 1967, cioè a 50 anni dall’occupazione israeliana della Cisgiordania e di Gerusalemme Est. Entrambi non sono ancora tradotti in italiano.

Soltanto un mondo accademico libero e autonomo potrà dare sostegno alla resistenza popolare dal basso che continua, senza sosta, quella resistenza civile di chi ogni giorno protesta contro il muro dell’apartheid, contro l’esproprio delle terre, di chi fa lo sciopero della fame perché prigioniero politico. I media non ne danno notizia. Spetta al mondo scientifico, della cultura, degli atenei, quindi, argomentare e instaurare un dibattito onesto in assoluta indipendenza.

Ruba Salih è a Salerno per la prima volta, ospite di “Femminile palestinese”. Il suo ultimo libro Musulmane rivelate: donne, islam, modernità (Carocci Editore) parla della condizione della donna secondo l’Islam e nei paesi arabi attraverso storie di donne e attraverso la sua lettura di un mondo, quello arabo, di cui è profonda conoscitrice. Nel libro le sue riflessioni sono un’occasione per rivedere convinzioni e pregiudizi ormai consolidati. L’antropologa italo-palestinese studia e scrive su questioni di genere e migrazione transnazionali in Europa, Medio Oriente e Nord Africa, con un focus specifico sulla Palestina e i suoi rifugiati.

In un suo precedente saggio su femminismo e islamismo afferma che “mai come ora è necessario trovare delle concettualizzazioni del femminismo che si pongano in un’ottica di superamento nei confronti di quell’approccio etnocentrico con cui molta parte del pensiero femminista occidentale ha per lungo tempo guardato ad altre esperienze di emancipazione, soprattutto nel mondo islamico” nel tentativo di “superare un’unica epistemologia femminista per avviare una nuova concezione del femminismo che sia in grado di cogliere le specificità culturali all’interno delle quali una molteplicità di movimenti femminili in diverse società avanzano richieste di diritti e di riconoscimento”.

Ilan Pappe è già stato ospite della rassegna “Femminile palestinese”, ritorna a Salerno per la terza volta. Uno dei più autorevoli storici israeliani, di sicuro stella polare per chi vuole ricomporre i tasselli di una corretta ricostruzione storica in contrasto con la storiografia ufficiale, ancora più necessaria oggi nel settantesimo anniversario della nascita dello stato israeliano, a 70 anni, cioè, dalla pulizia etnica della Palestina. Lo ha spiegato nel suo libro più famoso La pulizia etnica della Palestina” (Fazi editore), di cui ci ha parlato nel primo incontro salernitano nel 2015, che aveva lo stesso titolo. Secondo Pappe “il ruolo dello storico è quello di parlare non solo di cosa è accaduto nel passato, ma di spiegare perché il passato è importante per noi oggi nel presente” aggiungendo che “l’impegno dell’accademico nasce dal dovere morale nei confronti dell’umanità”.

Tutto il suo discorso, una sorta di lectio magistralis, è diventato poi un libro bilingue Di storia in storia – From tale to tale (edizioni Oèdipus) di cui esce in questi giorni la seconda edizione. Già in quello stesso discorso (e quindi nel libro Di storia in storia) lo storico parla anche dell’importanza del linguaggio, tema poi affrontato nel suo secondo incontro salernitano “Linguaggio, comunicazione, decolonizzazione” del 2016Lo storico ci ricorda che è necessario superare quel linguaggio tipico di una vecchia ortodossia pacifista, in cui le espressioni più usate erano “processo di pace” o “negoziati” o ancora “conflitto israelo-palestinese”.

Ilan Pappe suggerisce di sostituire queste parole con un vocabolario nuovo che spinga verso un radicale cambiamento dell’opinione pubblica. Per esempio quanto accadde nel 1948 in Palestina non va definito semplicemente una catastrofe (Nakba), ma appunto una vera pulizia etnica, proprio per potere individuare di conseguenza una vittima e un aggressore, punto di partenza essenziale per cercare una riconciliazione. La comunità internazionale riconosce la pulizia etnica come crimine per cui, definire in questo modo preciso l’esodo forzato di circa 750.000 persone, permetterebbe una puntuale connotazione di quei fatti e Israele potrebbe rinascere da una corretta assunzione di responsabilità.

Era inevitabile dunque che Ilan Pappe fosse ospite della rassegna Femminile palestinese per una terza volta, esattamente nel settantesimo anniversario della nascita di Israele, per analizzare lo scenario attuale e approfondire il tema della libertà accademica, strumento essenziale di decolonizzazione.

***

La rassegna. Femminile palestinese, quest’anno alla quinta edizione, continua l’analisi dello scenario contemporaneo in Palestina a 70 anni dalla fondazione dello stato israeliano, avvenuta nel 1948. In questa riflessione, il ruolo della donna è ancora una volta centrale per i percorsi culturali che sa attivare e per come sa ridisegnare e mettere in discussione i confini e le narrazioni dominanti. La rassegna è scandita dalla presenza di giornaliste, arabiste, registe, antropologhe, cuoche, scrittrici, artiste, musiciste, studiose della cultura e della società palestinese.

In particolare, l’edizione 2018 ha in programma la realizzazione del progetto “Palestina-Israele. Oltre la narrazione in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Napoli: 15 designer della comunicazione verranno chiamati a una campagna di sensibilizzazione sulla questione palestinese, ognuno di loro quindi dovrà creare un poster che porti avanti una narrazione diversa da quella dominante. I prodotti finali saranno poi oggetto di una mostra, un catalogo e una tavola rotonda sul tema della comunicazione sociale. Il programma, poi, vede la presenza della scrittrice palestinese Adania Shibli in un incontro organizzato in collaborazione con l’Università di Napoli l’Orientale. Ancora spazio, infine, a cinema e gastronomia palestinesi con l’evento “Cinema, hummus e falafel” che prevede la proiezione di “Fra cielo e terra” di Sahera Dirbas, “Farid” di Ashraf Shakah, “The fading Valley” di Irit Gal, accompagnati da hummus e falafel. Reading, presentazioni di libri e spettacoli teatrali completeranno la programmazione.

Il progetto è promosso e sostenuto dal Centro di Produzione Teatrale Casa del Contemporaneo in partenariato con Università di Salerno, Università di Napoli l’Orientale, Fondazione Salerno Contemporanea, Accademia di Belle Arti di Napoli, Comunità palestinese Campania, Nena News Agency. Il quotidiano Il Manifesto è media partner.

*Maria Rosaria Greco

Curatrice della rassegna

di Maria Rosaria Greco*

Roma, 26 febbraio 2018, Nena News – “Palestina, decolonizzazione, libertà accademica” è il tema dell’incontro con cui ritorna la rassegna Femminile palestinese, quest’anno alla quinta edizione. Il 2018 inizia con la presenza dello storico israeliano Ilan Pappe (University of Exeter) e dell’antropologa italo-palestinese Ruba Salih (SOAS – School of Oriental and African Studies, University of London) il 2 marzo 2018, alle ore 10.30, presso l’Aula Vittorio Foa del DSPSC (Dipartimento di Scienze Politiche, Sociali e della Comunicazione) dell’Università di SalernoCon loro intervengono Giso Amendola, Sociologia del diritto (Università di Salerno) e Gennaro Avallone, Sociologia urbana (Università di Salerno). L’incontro è aperto a tutti.

La decolonizzazione culturale della Palestina è il focus che entrambi gli ospiti, protagonisti del panorama accademico internazionale, analizzano da anni. Ruba Salih, professore associato all’Università SOAS di Londra, è anche membro del Consiglio arabo per le scienze sociali e fondatrice del sottocomitato per la libertà accademica nella regione araba. Ilan Pappe, in Palestina e Israele: che fare? (Fazi editore), scritto a quattro mani con il linguista Noam Chomsky, riflette proprio sull’importanza di utilizzare parole come “decolonizzazione” al posto di “processo di pace”, oppure “pulizia etnica” al posto di “Nakba” per poter ribaltare significati che da sempre si inseguono nella continua confusione fra vittima e carnefice. A 70 anni dalla fondazione dello Stato di Israele e quindi dalla pulizia etnica della Palestina, iniziata nel 1948, “decolonizzazione” e “libertà accademica” sono temi centrali attorno ai quali si fonda tutta la sua ricerca e il suo lavoro che sfida, da sempre, la narrazione della storiografia ortodossa israeliana.

Decolonizzare significa non solo interrompere e smantellare il colonialismo da insediamento sul territorio, avviato nel 1948, continuato nel 1967, e ampiamente attivo oggi in Palestina, ma anche contrastare la sistematica azione che Pappe definisce di “memoricidio”cioè la narrazione del progetto sionista nella società israeliana e nella comunità internazionale. Lo storico ne parla nei suoi libri, in particolare negli ultimi due pubblicati nel 2017: Ten myths about Israel (Dieci miti su Israele) The biggest prison on earth: a history of the occupied territories (La più grande prigione al mondo: una storia dei territori occupati).

Nel primo, con una puntuale analisi storica, esamina le idee più contestate riguardo alle origini e all’identità di Israele. Spiega come la disinformazione storica, anche recente, promuova l’oppressione, l’ingiustizia e protegga un regime di colonizzazione. Uno dei miti affrontati, per esempio, è l’affermazione sionista secondo cui la Palestina era una terra vuota. I registri ottomani del 1878 parlano di una popolazione pari a quella odierna in Israele/Palestina di cui l’87% erano musulmani, il 10% cristiani e il 3% ebrei. E la Palestina non era un deserto, ma una fiorente società araba con una rete costiera di porti e città molto attive nei collegamenti commerciali con l’Europa, mentre le fertili pianure interne intrattenevano scambi commerciali con le regioni vicine dell’entroterra. Dunque quella “terra vuota” era parte di un ricco mondo del Mediterraneo orientale che nel XIX secolo si avviava verso processi di modernizzazione e nazionalizzazione.

Nel secondo libro, The biggest prison on earth: a history of the occupied territories Ilan Pappe invece racconta di insediamenti, posti di blocco e punizioni collettive assolutamente pianificate in quanto parte del progetto sionista di colonizzazione. Lo storico spiega con chiarezza il meccanismo creato per governare in maniera efficace milioni di palestinesi, che vivono in una prigione a cielo aperto da 50 anni. Questo libro è stato selezionato per il “Palestine Book Award 2017, e, come il primo, è stato pubblicato nel cinquantesimo anniversario della guerra del 1967, cioè a 50 anni dall’occupazione israeliana della Cisgiordania e di Gerusalemme Est. Entrambi non sono ancora tradotti in italiano.

Soltanto un mondo accademico libero e autonomo potrà dare sostegno alla resistenza popolare dal basso che continua, senza sosta, quella resistenza civile di chi ogni giorno protesta contro il muro dell’apartheid, contro l’esproprio delle terre, di chi fa lo sciopero della fame perché prigioniero politico. I media non ne danno notizia. Spetta al mondo scientifico, della cultura, degli atenei, quindi, argomentare e instaurare un dibattito onesto in assoluta indipendenza.

Ruba Salih è a Salerno per la prima volta, ospite di “Femminile palestinese”. Il suo ultimo libro Musulmane rivelate: donne, islam, modernità (Carocci Editore) parla della condizione della donna secondo l’Islam e nei paesi arabi attraverso storie di donne e attraverso la sua lettura di un mondo, quello arabo, di cui è profonda conoscitrice. Nel libro le sue riflessioni sono un’occasione per rivedere convinzioni e pregiudizi ormai consolidati. L’antropologa italo-palestinese studia e scrive su questioni di genere e migrazione transnazionali in Europa, Medio Oriente e Nord Africa, con un focus specifico sulla Palestina e i suoi rifugiati.

In un suo precedente saggio su femminismo e islamismo afferma che “mai come ora è necessario trovare delle concettualizzazioni del femminismo che si pongano in un’ottica di superamento nei confronti di quell’approccio etnocentrico con cui molta parte del pensiero femminista occidentale ha per lungo tempo guardato ad altre esperienze di emancipazione, soprattutto nel mondo islamico” nel tentativo di “superare un’unica epistemologia femminista per avviare una nuova concezione del femminismo che sia in grado di cogliere le specificità culturali all’interno delle quali una molteplicità di movimenti femminili in diverse società avanzano richieste di diritti e di riconoscimento”.

Ilan Pappe è già stato ospite della rassegna “Femminile palestinese”, ritorna a Salerno per la terza volta. Uno dei più autorevoli storici israeliani, di sicuro stella polare per chi vuole ricomporre i tasselli di una corretta ricostruzione storica in contrasto con la storiografia ufficiale, ancora più necessaria oggi nel settantesimo anniversario della nascita dello stato israeliano, a 70 anni, cioè, dalla pulizia etnica della Palestina. Lo ha spiegato nel suo libro più famoso La pulizia etnica della Palestina” (Fazi editore), di cui ci ha parlato nel primo incontro salernitano nel 2015, che aveva lo stesso titolo. Secondo Pappe “il ruolo dello storico è quello di parlare non solo di cosa è accaduto nel passato, ma di spiegare perché il passato è importante per noi oggi nel presente” aggiungendo che “l’impegno dell’accademico nasce dal dovere morale nei confronti dell’umanità”.

Tutto il suo discorso, una sorta di lectio magistralis, è diventato poi un libro bilingue Di storia in storia – From tale to tale (edizioni Oèdipus) di cui esce in questi giorni la seconda edizione. Già in quello stesso discorso (e quindi nel libro Di storia in storia) lo storico parla anche dell’importanza del linguaggio, tema poi affrontato nel suo secondo incontro salernitano “Linguaggio, comunicazione, decolonizzazione” del 2016Lo storico ci ricorda che è necessario superare quel linguaggio tipico di una vecchia ortodossia pacifista, in cui le espressioni più usate erano “processo di pace” o “negoziati” o ancora “conflitto israelo-palestinese”.

Ilan Pappe suggerisce di sostituire queste parole con un vocabolario nuovo che spinga verso un radicale cambiamento dell’opinione pubblica. Per esempio quanto accadde nel 1948 in Palestina non va definito semplicemente una catastrofe (Nakba), ma appunto una vera pulizia etnica, proprio per potere individuare di conseguenza una vittima e un aggressore, punto di partenza essenziale per cercare una riconciliazione. La comunità internazionale riconosce la pulizia etnica come crimine per cui, definire in questo modo preciso l’esodo forzato di circa 750.000 persone, permetterebbe una puntuale connotazione di quei fatti e Israele potrebbe rinascere da una corretta assunzione di responsabilità.

Era inevitabile dunque che Ilan Pappe fosse ospite della rassegna Femminile palestinese per una terza volta, esattamente nel settantesimo anniversario della nascita di Israele, per analizzare lo scenario attuale e approfondire il tema della libertà accademica, strumento essenziale di decolonizzazione.

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La rassegna. Femminile palestinese, quest’anno alla quinta edizione, continua l’analisi dello scenario contemporaneo in Palestina a 70 anni dalla fondazione dello stato israeliano, avvenuta nel 1948. In questa riflessione, il ruolo della donna è ancora una volta centrale per i percorsi culturali che sa attivare e per come sa ridisegnare e mettere in discussione i confini e le narrazioni dominanti. La rassegna è scandita dalla presenza di giornaliste, arabiste, registe, antropologhe, cuoche, scrittrici, artiste, musiciste, studiose della cultura e della società palestinese.

In particolare, l’edizione 2018 ha in programma la realizzazione del progetto “Comunicare la Palestina. Una narrazione diversa in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Napoli: 15 designer della comunicazione verranno chiamati a una campagna di sensibilizzazione sulla questione palestinese, ognuno di loro quindi dovrà creare un poster che porti avanti una narrazione diversa da quella dominante. I prodotti finali saranno poi oggetto di una mostra, un catalogo e una tavola rotonda sul tema della comunicazione sociale. Il programma, poi, vede la presenza della scrittrice palestinese Adania Shibli in un incontro organizzato in collaborazione con l’Università di Napoli l’Orientale. Ancora spazio, infine, a cinema e gastronomia palestinesi con l’evento “Cinema, hummus e falafel” che prevede la proiezione di “Fra cielo e terra” di Sahera Dirbas, “Farid” di Ashraf Shakah, “The fading Valley” di Irit Gal, accompagnati da hummus e falafel. Reading, presentazioni di libri e spettacoli teatrali completeranno la programmazione.

Il progetto è promosso e sostenuto dal Centro di Produzione Teatrale Casa del Contemporaneo in partenariato con Università di Salerno, Università di Napoli l’Orientale, Fondazione Salerno Contemporanea, Accademia di Belle Arti di Napoli, Comunità palestinese Campania, Nena News Agency. Il quotidiano Il Manifesto è media partner.

*curatrice della rassegna

Due incontri, 16 e 17 novembre, dalle 17.00 alle 20.00 per imparare a preparare i piatti più importanti della tradizione gastronomica palestinese.

Il corso è tenuto da Fidaa Ibrahim Abuhamdieh chef, blogger palestinese e e Silvia Chiarantini, autrici del libro: “Pop Palestine. Viaggio nella cucina popolare palestinese”. Editore Stampa Alternativa.

Si tratta di un viaggio attraverso le spezie e le ricette tipiche, i menù delle feste, il “caffè del benvenuto” e le regole dell’accoglienza, i prodotti della terra e la tradizione dolciaria.
Ad eccezione della Maqlouba (preparata con pollo) tutti i piatti sono vegetariani ed alcuni vegani.

Di seguito i piatti in dettaglio:

Giovedì 16 novembre
HUMMUS E NON SOLO: LE SALSE E I DIVERSI TIPI DI PANE
Hummus – crema di ceci
Mutabbal – crema di melanzane affumicate
Salsa di zucchine – zucchine, yogurt e menta
Mana’ish za’atar – focaccia con una miscela di erba a base di timo
Khobz – pane arabo
Spezie ed erbe della cucina palestinese

Venerdì 17 novembre
IL PIATTO DELLE FESTE: LA MAQLOUBA E ALTRE DELIZIE PER RIUNIRSI INTORNO AL CIBO
Maqlouba – piatto unico di riso, verdure e pollo
Mujaddara – burgul e lenticchie con cipolla caramellata
*Labneh – yogurt colato con erbe e spezie
*Falafel – polpette di ceci
Basbousa – dolce di semolino
Burbara o Ashura – dolce di grano e frutta secca
Caffè al cardamomo

Al termine di ogni lezione segue degustazione dei piatti preparati.

A fine corso, il 17 novembre dalle 20,00 alle 21,30 è previsto un evento con cena conclusiva aperta al pubblico, su prenotazione, e proiezione del documentario “Pop Palestine. Salam Cuisine da Hebron a Jenin” di Alessandra Cinquemani e Silvia Chiarantini.

Il corso è a pagamento, quota di 60,00 € inclusa la cena di chiusura.
Su prenotazione è possibile partecipare solo alla cena conclusiva con una quota di 20.00 €. Numero di adesioni limitato.

Sede del corso: l’Istituto superiore Santa Caterina da Siena – Amendola, Via Lazzarelli, 12 – 84132 Salerno

 

Femminile Palestinese porta alla libreria Feltrinelli di Salerno il libro di Ghassan Kanafani “Uomini sotto il sole”.

Il romanzo è stato recentemente ristampato da Edizioni Lavoro a cura di Isabella Camera D’Afflitto, docente di Letteratura araba moderna all’Università La Sapienza di Roma, che ne ha aggiornato la traduzione.

Gli ospiti

A presentare la ristampa dell’opera anzitutto la sua curatrice, Isabella Camera D’Afflitto. che ne ha discusso assieme a:

  • Antonio Bottiglieri – Presidente SCABEC
  • Erminia Pellecchia – Giornalista, “Il Mattino”
  • Maria Rosaria Greco – Curatrice della Rassegna
  • Attilio Bonadies legge per noi alcuni brani di Ghassan Kanafani

Il libro

“Uomini sotto il sole” arriva in Italia nel 1984, grazie alla traduzione della Camera d’Afflitto. Appare subito un romanzo rivoluzionario: per la prima volta in Italia si parla non solo di letteratura araba, ma di letteratura palestinese, e soprattutto si inizia a parlare della tragedia palestinese. L’opera di Kanafani si impone anche per il suo valore letterario.

Oggi rimanda a un tema drammaticamente attuale: il viaggio dei migranti clandestini, con le storie di donne e uomini che fuggono da terre di dolore, di persecuzione, di mancanza di libertà, di povertà.

E’ la storia di tre palestinesi, due giovani e un uomo più anziano, che cercano di fuggire dai campi profughi della Cisgiordania, nati dopo la perdita della Palestina nel 1948, per arrivare in Kuwait attraverso il deserto iracheno. I tre “uomini sotto il sole”, Abu Qais, Asad e Marwàn, sono tre clandestini che devono nascondersi in una cisterna vuota prima di ogni controllo di dogana per restarvi solo pochi minuti, sette minuti al massimo. Ma “uomini sotto il sole” sono tutti gli esseri umani disperati che, sotto il sole, cioè sotto gli occhi di tutti, affrontano la morte nel tentativo di approdare sulle nostre coste, nella totale indifferenza del mondo. Infine “uomini sotto il sole” sono il popolo palestinese destinato a morire asfissiato sotto il sole del deserto, cioè sotto quella occupazione che saccheggia togliendo diritti umani e civili.
Questo breve romanzo fa del giovane Kanafani il modello intellettuale di tutta una generazione, considerato dalla critica araba e occidentale uno dei massimi scrittori arabi contemporanei.
“Perché non avete bussato alle pareti della cisterna? Perché?” Kanafani chiude con questa domanda struggente il romanzo. Perchè i tre, chiusi nella cisterna, sotto il sole, non hanno chiesto aiuto? Al lettore la risposta.

Kanafani

Lo scrittore viene assassinato nel 1972, a Beirut, con un ordigno esplosivo, insieme alla nipote sedicenne Lamis. L’opinione più diffusa sostiene che si sia trattato di una ritorsione del Mossad contro un attentato terroristico in Israele, attribuito al FPLP, di cui Kanafani era portavoce.

Il 27 ottobre a Napoli presso l’Aula Magnal’Accademia di Belle Arti Amer Shomali incontra gli studenti.

Dopo la Proiezione film farà seguito il dibattito con l’autore e gli ospiti:

– Giuseppe Gaeta, Direttore ABA di Napoli;
– Gina Annunziata, docente di Storia del cinema ABA e Università Orientale di Napoli;
– Diego Del Pozzo, docente di Teoria e analisi del cinema e dell’audiovisivo ABA di Napoli;
– Omar Suleiman, Comunità palestinese Campania;
– Chiara Cruciati, giornalista Il Manifesto e Nena News.

the wanted 18

Il giovane visual artist palestinese Amer Shomali, in Italia per la prima volta, insieme alle sue 18 mucche “wanted” dà il via alla quarta edizione della rassegna Femminile palestinese 2017, il cui focus quest’anno è l’arte della resistenza.

Femminile palestinese porta il film ed il suo autore in tre città – Salerno, Napoli, Roma – collocando gli appuntamenti in contesti accademici e artistici: l’Università degli studi di Salerno, l’Accademica di Belle Arti di Napoli,  il Museo MADRE di Napoli e l’Università La Sapienza di Roma.

The wanted 18

Il suo film The Wanted 18, di cui è coautore insieme al canadese Paul Cowan, è stato candidato agli Oscar 2016 nella categoria delle pellicole in lingua straniera. È un racconto di fatto al “femminile”: le protagoniste sono 18 mucche ricercate perché dichiarate “pericolose per la sicurezza di Israele”.
The wanted 18 è una produzione unica che combina animazione stop-motion, interviste, disegni originali e immagini d’archivio, e racconta una delle pagine più nobili della prima Intifada: la leggendaria disobbedienza civile portata avanti da tutta la popolazione di Beit Sahour. Nel film la storia di questo tentativo di boicottaggio economico viene spiegata, oltre che dagli attivisti, soprattutto dalle mucche: Ruth, la mucca israeliana orgogliosa, Rivka, la pacifista, Lola, la regina del dramma, Goldie, l’attivista politica, e Yara, il vitello. Le mucche diventano simbolo di un’intera comunità che si stringe attorno a un sogno, all’ideale di indipendenza con spirito di lotta e cooperazione, perché, come conclude lo stesso Shomali, che è il narratore nel film, “è necessario ostinarsi a credere nell’utopia”.

Grande ironia, quindi, e leggerezza nel descrivere una sollevazione popolare molto diversa dalla consueta immagine di giovani che lanciano pietre. Shomali ci mostra la potenza dell’attivismo che parte dal basso, della resistenza non violenta e del coraggio di chi vuole la propria indipendenza, ma anche l’amarezza, perché questa volontà e queste azioni purtroppo vengono annientate con gli accordi di Oslo. Secondo Intishal Al Timini (Sanad Foundation, Abu Dhabi Film Festival) “il film è divertente e serio, è uno dei più grandi film visti negli ultimi dieci anni”

Gli appuntamenti

Amer Shomali ci ha accompagnato in tre città – Salerno, Napoli e Roma. Negli incontri è stato proiettato il film “The Wanted 18” a cui è seguito un dibattito, oltre che con l’autore, con esperti di cinema e di cultura araba.

GLI APPUNTAMENTI:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ufficio Stampa:
nenanewsagency@gmail.com – Nena NewsAgency

Presentazione del libro di Chiara Cruciati e Michele Giorgio, 50 anni dopo 1967-2017. I territori palestinesi occupati e il fallimento della soluzione a due Stati. Edizioni Alegre, 2017. Il saggio rappresenta un momento fondamentale per capire la Palestina oggi, a cinquant’anni dalla guerra dei sei giorni, perché coniuga l’analisi giornalistica alla ricostruzione storica in un estremo atto di denuncia. Un grido d’allarme: la Palestina è scomparsa dalle cronache, ma il popolo palestinese esiste ancora.

Con i due giornalisti dialoga la curatrice Maria Rosaria Greco.

Presentazione del libro di Egidia Beretta Arrigoni, Il viaggio di Vittorio, Dalai Editore. La madre di Vittorio Arrigoni racconta la breve vita e il forte impegno a tutela dei diritti umani e civili del figlio ucciso a Gaza nella notte dal 14 al 15 aprile 2011. Insieme a Egidia Beretta dialoga il giornalista Davide Speranza.

L’incontro è il primo di una breve anteprima di inizio estate della rassegna.